Descrizione Progetto

A chi decide di coltivare un terreno consiglio sempre di fare delle analisi del suolo. I motivi sono molteplici: dai risultati di queste analisi possiamo capire che tipologia di terreno abbiamo e con quali caratteristiche, possiamo quantificare il “serbatoio” di sostanze nutritive sul quale possiamo contare e se ci sono particolari carenze di micro-elementi. Una delle voci più importanti è ovviamente la percentuale di sostanza organica: sarà lei ad indicarci la nostra situazione di partenza e sarà molto interessante conoscere il suo andamento nel corso degli anni, dando luogo a variazioni anche considerevoli in base alle scelte che faremo nei nostri processi produttivi.  L’analisi del terreno completa ha un costo di circa 120 €; nel caso di orticoltura da reddito è buona norma farla annualmente o al massimo ogni due anni soprattutto nelle prime fasi in cui stiamo cercando di incrementare la fertilità del suolo. 

Campionamento

La fase di prelievo dei campioni è fondamentale per avere un’analisi veritiera dei nostri terreni. Per prima cosa dobbiamo capire qual’è, all’interno del nostro appezzamento, il livello di omogeneità. Questo si deduce analizzando visivamente il suolo: colore superficiale diverso, presenza di aree con maggiore pietrosità, presenza di zone in cui sono presenti fenomeni erosivi più o meno avanzati e presenza di aree a forte ristagno idrico sono tutti fenomeni che potenzialmente sono indicatori di disugaglianza. Se abbiamo un po’ di basi di tassonomia, anche la valutazione delle specie infestanti presenti è un buon modo per capire sia il grado di omogeneità che le principali caratteristiche del suolo ancora prima di fare le analisi.

In caso di elevata omogeneità può bastare una singola analisi del terreno anche per superfici che vanno da 1 a 3 ha. Nel caso in cui si notassero le criticità elencate precedentemente sarà opportuno dividere il nostro orto in sotto aree e procedere a più analisi del suolo. Se vogliamo contenere i costi consiglio di fare una singola analisi della porzione di superficie che consideriamo più importante dal punto di vista produttivo.  A fini esemplificativi immaginiamo di avere un appezzamento omogeneo e pianeggiante di 1 ha superficie di dimensione regolare, come l’azienda rappresentata nella figura. Esistono diversi modi per eseguire il campionamento; il seguente, dal mio punto di vista, è quello più semplice da realizzare.

La linea rossa esterna rappresenta i confini dell’appezzamento, la seconda linea rossa, parallela a circa 3-5 metri di distanza rappresenta l’area perimetrale che deve essere sempre scartata perché generalmente non rappresentativa. Una volta evidenziata l’area di interesse tracciamo due diagonali (linee bianche) e ci spostiamo su di esse raccogliendo i campioni (cerchi gialli) a 10-15 metri di distanza dall’area esterna (linea rossa) e a 10-15 metri di distanza da dove si incontrano le diagonali.

Prelievo del campione

Una volta individuati i punti del campionamento procediamo al prelievo. Nonostante esistano oggetti specifici per effettuare questa operazione, la vanga resta un egregio sostituto. Se il terreno non è nudo ma vi è presente un cotico erboso o altro materiale (foglie, resti di trinciatura ecc.) dobbiamo provvedere a togliere i primi 5 cm di terreno perché ci daranno dei risultati non veritieri per quanto riguarda i valori di sostanza organica e di altri elementi. Anche i sassi vanno eliminati prima di effettuare il campionamento.

Una volta “ripulita” la superficie, scaviamo una piccola buca di 30 cm di profondità e preleviamo un campione di terreno in verticale, scendendo lungo la parete della buca. Tale campione della dimensione di una vangata sarà rovesciato in un secchio. E’ importante ovviamente mantenere costante la quantità di tutti e otto i campioni prelevati. Abbiamo scelto di attestarsi su 30 cm perché questo rappresenta lo spessore esplorato dalla maggior parte delle radici delle piante ortive; nel caso volessimo impiantare un frutteto si consiglia di scendere fino a 50 cm di profondità.  Una volta prelevati tutti i campioni rovesceremo il nostro secchio su un tavolo e con accuratezza mescoleremo il tutto, creando di fatto un unico campione. Da quest’ultimo preleveremo in un sacchetto sterile 1 kg di materiale, da sigillare e inviare al laboratorio il prima possibile.

Interpretazione delle analisi del terreno

Da quando ho scelto il lavoro di agronomo ho sempre considerato l’analisi del terreno come uno dei punti cardine da cui partire. Sono infatti queste analisi a dirci se stiamo arricchendo correttamente il nostro terreno e se le operazioni agricole effettuate sono corrette o meno. Esistono molti manuali per interpretare correttamente le analisi ma nessuno di quelli letti può tener conto delle infinite relazioni e scambi che avvengono continuamente fra microrganismi e terreno. Trattandosi di terreni a gestione biologica i microrganismi e le attività microbiche vengono messe in primo piano e tutte le operazioni agricole servono a mantenere e incrementare la loro presenza.  I risultati delle analisi ci danno una foto in uno specifico momento e sarà molto interessante avere a disposizione le analisi dei successivi 5 anni per capire come stiamo intervenendo con la nostra gestione.

I parametri secondo me indispensabili per una corretta gestione del terreno sono quelli elencati qui sotto. Ne esistono altri come la capacità di scambio cationico e il rapporto tra carbonio e azoto, che sono basilari per la riuscita di un buon raccolto ma che dipendono completamente dalle buone pratiche agricole. Compiendo continuamente delle scelte idonee, che ci verranno confermate da un continuo incremento della sostanza organica nel suolo, di conseguenza gli altri parametri non potranno che darci risultati positivi.

Come agronomi, nel caso ci siano valori strani o sbilanciati sarà opportuno avere a disposizione delle analisi particolareggiate; come contadini o coltivatori diretti ci basterà conoscere i valori elencati qui sotto per avere un punto di partenza chiaro.

Tessitura

La tessitura ci indica il rapporto tra le particelle dei tre costituenti del terreno, ovvero sabbia, limo e argilla. Conoscere la tessitura significa conoscere a grandi linee le caratteristiche del suolo che andiamo a lavorare. Da questi risultati possiamo già avere un’idea di quanto dobbiamo irrigare, di come dobbiamo intervenire con le concimazioni, quali colture sono più adatte e quali evitare, quali mezzi scegliere per lavorare i nostri terreni. Per comprendere facilmente questo paragrafo faccio un esempio pratico partendo da un risultato di analisi del terreno.

A questo punto dobbiamo sommare la percentuale delle varie categorie ed otteniamo:

  • LIMO 23,9%+7,7% = 31,6%
  • SABBIA 59,9% +2,6% = 62,5%
  • ARGILLA 5,9 %

Come interpretare la tessitura

Adesso basterà riportare i nostri tre valori sulla famosa piramide della tessitura e aiutandoci con un semplice righello e una matita possiamo vedere dove si incontrano le diverse linee.  In questo caso abbiamo un terreno a tessitura limo-sabbiosa.  I terreni più idonei alla coltivazione di ortaggi, che ne permettono la coltivazione di quasi tutte le tipologie e una relativa facilità nelle operazioni colturali, sono quelli definiti franchi o di medio impasto, che hanno valori di sabbia compresi fra il 35% e il 55%, permettendo una buona circolazione sia dell’aria che dell’acqua, una percentuale di argilla compresa fra il 10 e il 25%, per avere una buona ritenzione idrica e trattenere al meglio gli elementi nutrivi, e limo compreso tra il 25 e il 45%. Se andiamo ad analizzare le aree a vocazione orticola presenti in Italia come l’areale di latina, il grossetano, e in generale in molte le zone costiere ci accorgiamo che questi terreni hanno una percentuale di sabbia molto più alta rispetto all’ottimale appena descritto. Questi terreni presentano spesso grossi problemi di mantenimento della sostanza organica e dei vari nutrienti e quindi non sarebbero teoricamente idonei alla produzione di ortaggi. Eppure l’orticoltura industriale che vuole massimizzare la produzione si è diffusa in quelle zone perché, oltre ad avere un clima più mite (quindi un periodo di produzione più lungo senza bisogno di serre e quant’altro), le lavorazioni meccaniche sono agevolate, permettendo l’utilizzo di trattrici di maggiori dimensioni, capaci di lavorare in un solo passaggio grandi superfici di terreno. Non considerando la sostanza organica, però, solo il ricorso a concimi chimici di fondo a pronto o a lento rilascio, a prodotti di copertura, prodotti per la fertirrigazione e concimi fogliari rende possibile produrre con rese adeguate.

Sostanza organica

Nelle analisi chimiche la sostanza organica viene espressa in percentuale. Per avere un’idea di riferimento possiamo dire che valori minori dell’ 1% si hanno in terreni molto sfruttati, gestiti attraverso agricoltura convenzionale in cui si è intervenuti per anni con concimi chimici, lavorazioni profonde (arature) e in presenza di tessitura prevalentemente sabbiosa.

Percentuali maggiori del 3 % si hanno in terreni a prevalenza argillosa in cui è presente o lo è stato fino a poco prima un prato polifita stabile, animali al pascolo e/o in seguito ad una corretta gestione della sostanza organica in seguito a diversi anni di lavoro. Quando otteniamo questo risultato dobbiamo preoccuparci di mantenerlo stabile e gli interventi non saranno più mirati all’incremento ma al consolidamento di questo valore.  Nell’intervallo che intercorre fra l’1% e il 3% ci sono la maggior parte dei terreni in cui ci troveremo a lavorare e i nostri interventi e le nostre pratiche agricole saranno incentrate sull’incremento di questo valore. Se volete approfondire l’argomento cliccate qui

Il pH

Il pH è la misura dell’acidità del nostro terreno e salvo la presenza di particolari inquinanti è un valore abbastanza stabile nelle varie zone dove coltiviamo. Esiste una tabella che ci fa capire in maniera semplice l’importanza di questo parametro. La larghezza delle linee rappresenta la disponibilità nell’elemento al variare del pH. Si noti come il pH 6,5 sia il miglior valore i cui mediamente tutti gli elementi sono molto disponibili.

Normalmente nelle aree interne gestite con agricoltura convenzionale il pH ha un valore che oscilla intorno a valori di 7,5-8. La conoscenza del pH ci aiuta in primis a prevenire eventuali possibili carenze nelle nostre coltivazioni e ci consiglia che tipologie di concimi usare. Per fare un esempio, se abbiamo un terreno con pH maggiore di 7,5 non sarà opportuno intervenire nella concimazione con cenere di legna in quanto andremo ad incrementare ulteriormente l’alcalinità. Correggere il pH è una tecnica che richiede lunghi anni, ma c’è da dire che valori inferiori a 6 o maggiori di 8 rendono difficile la coltivazione. Quello che dobbiamo fare è procedere nella direzione giusta per migliorare questo valore senza avere troppa fretta di raggiungere valori neutri.

Nell’agricoltura chimica ci sono molti concimi a prevalenza acida o basica il cui intervento prolungato modifica anche nel giro di pochi anni questo valore. Nell’agricoltura naturale, che è quella che pratichiamo, abbiamo ovviamente molte più limitazioni e meno scorciatoie da poter percorrere.  La variazione del pH in molti casi non è un’operazione economicamente sostenibile e non dobbiamo obbligatoriamente accanirci per ottenere i risultati sperati. Se stiamo parlando di un piccolo orto familiare sarà relativamente semplice modificare questo valore con le tecniche elencate di seguito. Se invece ci troviamo in condizioni di valori critici e in grandi appezzamenti invece di correggere questo valore sarà più intelligente coltivare specie acidofile o basofile.

Incremento del ph

Esistono tre sostanze a cui si ricorre solitamente per incrementare questo valore:

Cenere di legna. Ne servono quantità importanti per correggere il pH. La somministrazione dovrà essere fatta in modo graduale nel tempo, apportando e rimescolando nel terreno 2 kg/anno di cenere a metro quadrato ed analizzando successivamente il suolo.

Carbonato di calcio. Per quanto riguarda il carbonato di calcio bisognerà agire con piùperizia: i dosaggi da aggiungere dipendono dal tipo di terreno. Per sapere quanto carbonato di calcio aggiungere al terreno, leggete le indicazioni riportate in etichetta dal produttore. In generale, le quantità da aggiungere per ogni metro quadro di suolo sono:

  • 120 grammi in caso di terreno sabbioso
  • 240 grammi in caso di terreno moderatamente argilloso
  • 360 grammi in caso di terreno completamente argilloso
  • 750 grammi in caso di terreno torboso

Acqua di pozzo. L’acqua che proviene dai nostri pozzi salvo particolari casi geografici o di inquinamento presenta un pH maggiore di 8 a causa della rocce calcaree che l’acqua piovana attraversa prima di raggiungere le falde da cui attingiamo per irrigare. Un uso continuo negli anni di queste acque porta ad un incremento della basicità del suolo.

Diminuzione del pH

Anche in questo caso esistono diverse tecniche

  1. Incrementare la sostanza organica. Il processo di humificazione della sostanza organica porta ad una leggera acidificazione del ph del terreno fino a raggiungere valori del 6,5. Quando abbiamo terreni con valori di pH lontani dalla neutralità spesso abbiamo un basso valore della sostanza organica.
  2. Fondi di caffè. Recuperare grandi quantità di fondi di caffè da ristoranti o bar da inserire direttamente nel terreno o da compostare nel nostro cumulo è uno dei modi più semplici per piccoli orti familiari. Si consiglia di intervenire gradualmente con una dose di 2 kg per metro quadrato e analizzare nuovamente a fine anno per capire di quanto è variato il valore.
  3. Acqua per l’irrigazione. Come abbiamo visto in precedenza la scelta dell’acqua influisce in modo considerevole questo valore. Nel caso sia possibile consigliamo di realizzare un piccolo invaso (o la presenza di cisterne) capace di raccogliere acqua piovana, dimensionato sui nostri consumi annuali. L’acqua piovana, a differenza di quella potabile e quella di pozzo, è sub-acida. Un uso continuo e prolungato negli anni porta ad un abbassamento del ph.

Macroelementi

Azoto (N)

L’azoto insieme al fosforo e al potassio rappresenta uno dei tre macroelementi assorbiti dalle piante. Durante il processo di mineralizzazione della sostanza organica viene liberato azoto in forma assimilabile per le piante. Il processo di mineralizzazione avviene a carico dei microrganismi che riesco a svolgere questo processo soltanto quando la temperatura del terreno raggiunge i 10°C. Spesso ci vogliono alcune settimane di sole e temperature primaverili prima che il terreno raggiunga questa temperatura nonostante la temperatura dell’aria superi abbondantemente i 20°C. Può capitare che, nonostante il nostro terreno presenti alti livelli di sostanza organica, le piante manifestino ingiallimenti tipici da carenza d’azoto. In questi casi dobbiamo intervenire apportando concimi fogliari o liquidi come ad esempio il tè di lombrichi o il sangue di bue, anziché continuare ad aggiungere sostanza organica o distribuire pellettati.  L’azoto è responsabile della crescita della parte epigea della pianta e in particolare delle foglie, del fusto e in generale di tutte le parti verdi. Insieme agli altri due macroelementi è fondamentale la sua presenza a livelli sufficienti durante tutto il processo produttivo ma soprattutto dopo il trapianto, per non compromettere fin da subito al buona riuscita della coltivazione.

Fosforo (P)

Il fosforo serve allo sviluppo di tutta la parte ipogea della pianta; un buon livello di fosforo permette alla pianta un ottimo sviluppo radicale. Anche in questo caso il momento successivo al trapianto è la fase critica perché una carenza in questo momento potrebbe comprometterne lo sviluppo con ovvie ripercussioni nelle fasi successive. Oltre allo sviluppo radicale partecipa in primo piano alla fase della fioritura e durante la fruttificazione. Il fosforo è comunemente presente nel terreno sotto forma di minerali fosfatici (fosforo minerale) e in seguito alla mineralizzazione della sostanza organica (fosforo organico). Così come per l’azoto l’attività dei microrganismi è fondamentale per garantirci un livello sufficiente di questo elemento.

L’aggiunta regolare di compost o letame garantisce al terreno e a tutte le piante ortive un livello più che sufficiente di fosforo per soddisfare tutti i bisogni annuali.  Spesso per soddisfare il consumo di azoto eccediamo nelle quantità di compost o letame da aggiungere al terreno e il fosforo in eccesso in seguito a forti piogge viene disperso nelle falde o nei fiumi vicini provocando processi di eutrofizzazione con conseguente comparsa di alghe. Nel caso le analisi del terreno ci mostrino un alto livello di fosforo nel terreno o nel caso in cui andassimo a coltivare per un anno o per più anni ortaggi a basso consumo di questo elemento, suggerisco di utilizzare sovesci a base di leguminose in quanto apportano principalmente azoto, mentre il fosforo partecipa in quantità trascurabili.

Potassio (K)

Se il fosforo e l’azoto servono per garantire uno sviluppo adeguato della pianta, il potassio è fondamentale per assicurarci un buon raccolto. Da questo elemento dipendono il colore, l’odore, la maturazione e la conservabilità della nostra produzione. A differenza dell’agroindustria, in cui si punta tutto sulla quantità, nelle produzioni domestiche e nella filiera corta la qualità viene messa la centro. Possiamo raccogliere meno pomodori di quelli programmati ma non possiamo permetterci di raccogliere pomodori senza sapore o simili a quelli che troviamo nei supermercati. Il potassio è normalmente presente nei nostri terreni agricoli; un uso regolare di letame o compost e una gestione corretta delle rotazioni generalmente sono sufficienti a garantire un buon livello nel terreno. Fenomeni di carenza generalmente si manifestano soltanto con bassi livelli di sostanza organica tipici nei terreni sabbiosi o nelle serre in cui l’eccessiva intensità delle produzioni spesso non viene bilanciata da alti apporti di compost o letame. La cenere è un prodotto ricco di potassio: in caso di carenze in piccoli appezzamenti o prima della coltivazione di ortaggi ad alto consumo di questo elemento è pensabile aggiungerlo al compost o al letame durante la fase di maturazione. La sostanza organica contenuta nel compost o nel letame e il suo potere tampone hanno la capacità di neutralizzare il pH alcalino della cenere evitando di danneggiare le piante stesse o modificare il pH del terreno.  Esistono molti prodotti di origine naturale (principalmente a base di alghe) per effettuare concimazioni fogliari che consiglio di usare soltanto in casi eccezionali. Un uso eccessivo di potassio anche per via fogliare porta al raggiungimento immediato del colore perfetto dell’ortaggio senza che le altre caratteristiche organolettiche siano bilanciate; questo fenomeno si nota spesso nelle fragole che hanno un aspetto molto invitante ma sono carenti di sapore. 

Microelementi

In questa categoria rientrano tutti gli elementi indispensabili per lo sviluppo della pianta ma che vengono assorbiti in quantità molto limitate. Ne sono un esempio il calcio, lo zolfo, il ferro, il magnesio, il boro e molti altri. Se gestiamo i nostri terreni con corrette rotazioni e aggiungiamo compost o letame di qualità, generalmente non incorriamo mai in carenze di questi elementi. Le uniche volte in cui ho notato delle ridotte disponibilità sono avvenute in terreni sabbiosi (principalmente in serra) con un livello di sostanza organica vicino all’1%. In questi casi e soltanto in questi si interviene nell’anno con concimazioni fogliari mirate o con concimi liquidi da somministrare con la fertirrigazione. In commercio esistono molti concimi a base di microelementi, vanno preferiti quelli singoli a quelli generali.

Nelle schede colturali potremo vedere le foto degli ortaggi e le relative carenze più comuni